La Storia

Un giorno sarà famosa

di Sissi Aslan 

Via del Babuino nel rione Campo Marzio si mostra dritta in tutti i suoi 550 metri per chi arriva da Piazza di Spagna o da Piazza del Popolo. Oggi è una delle strade più eleganti di Roma, dove è possibile trovare le grandi firme internazionali, da Tiffany ad Armani a Miu Miu, da Chanel a Etro a Valentino, Moschino, Chopard, Givenchy, Borsalino... tra le tante boutique che si incontrano! Oggi, ma ieri e prima ancora? È una storia lunga quella del Babuino, come viene semplicemente chiamata dai romani. Lunga di secoli! Come tracciato viario moderno è già esistente nel XIV secolo ma il basolato romano sottostante il livello stradale ci racconta della sua esistenza in epoche molto più antiche. E poi, attraverso il Medioevo e il Rinascimento, la strada racchiude una serie lunghissima di preziosità e curiosità che scandiscono la sua storia per abbondanti cinque secoli, fino ai nostri giorni.

Parlo di artisti, dei loro studi, delle loro abitazioni, parlo di antiquari, di marmorari, di palazzi nobili e dei loro abitanti, parlo di caffè e di aneddoti che si ritrovano descritti, qua e là, nei libri e nelle guide della città e, forse più, nella memoria storica del variopinto mondo culturale che ha frequentato questa strada e che, in parte, possiamo ancora leggere sulle targhe stradali giusto se si alzano un po' gli occhi!

Nel 1883 viene pubblicata Roma visitata con lieve spesa, una piccola guida omnibus stradale artistica - illustrata...coi relativi movimenti degli omnibus e tramways fabbriche e negozi raccomandati. La Corsa n. 1 è esattamente quella di nostro interesse: «Stazione in Piazza Venezia. Linea del Corso - Parte ogni 5 minuti per Piazza del Popolo... Conduce i passeggieri fino presso il Cancello del Giardino pubblico al Monte Pincio e presso il Giardino e Villa Borghese - Coincidenza coi Tramways di Ponte Molle, e degli Omnibus per S. Pantaleo, come per la Ferrovia o Terme Diocleziane. La corsa impiega circa 12 minuti». É l'unica linea che attraversa completamente il tridente e che dal pomeriggio passa direttamente in via del Babuino, «dalle 3 pomeridiane in inverno e dalle 4 e mezza pomeridiane in estate, fino a mezz'ora di notte».

Ma torniamo indietro nella storia e riprendiamo il corso degli eventi. Si chiamava Via dell'Orto di Napoli, dalla comunità napoletana che vi abitava, e Via del Cavalletto, dall'omonimo supplizio che qui veniva posto. Il colpevole di reati lievi veniva messo a sedere su un legno affilato appendendogli ai piedi dei pesi tali da rendere l'effetto più doloroso.

Papa Leone X Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, scomunicò Lutero, costruì Via Ripetta e diede ordine di costruire la strada del Babuino che si chiamò Leonina. Poi, poco dopo, Papa Clemente VII, ancora un Medici, proseguì l'opera di Leone e la strada si chiamò Clementina. Ecco formato il Tridente con al centro la Via Lata, il moderno Corso. Subito dopo l'intervento di Papa Paolo III Farnese ne migliorò la sistemazione e la strada si chiamò Paolina. Tutto questo tra il 1513, elezione di Leone X, e il 1549, morte di Paolo III. In meno di quarant'anni la città e il suo centro storico prendono forma e diventano modello imitatissimo dell'urbanistica europea. Già nel 1581, solo con Papa Gregorio XIII Boncompagni la strada prese il nome di Via del Babuino dalla statua del bruttissimo Satiro o Sileno che il Papa volle sistemata sul prospetto di un suo palazzo per finire lì dove la conosciamo solo nel 1957. I Sileni, geni delle sorgenti e delle fontane, erano raffigurati, nell'arte ellenistica, vecchi, obesi, pelosi e così la statua fu battezzata dai romani "er babbuino" perché la giudicarono così brutta da paragonarla ad una scimmia. Ma il Sileno non sarebbe diventato così famoso se il cardinale Dezza, che abitava presso la fontana, non avesse preso l'abitudine, ogni volta che vi passava davanti, di riverire e inchinarsi devotamente, scambiandolo per chissà chi!. In poco tempo la statua del babuino divenne oggetto di manifestazioni satiriche e simbolo non solo per la strada ma per tutta la città! Entrò a far parte del congresso degli arguti, il gruppo delle "statue parlanti", Pasquino, Madama Lucrezia, Marforio, il Facchino e l'Abate Luigi, cioè quelle statue utilizzate per esporre messaggi anonimi contenenti satire politiche rivolte al pontefice o ad altri personaggi in vista del momento.

Se chiudessimo gli occhi potremmo fare un viaggio fantastico nella storia e, magari, sentire rumori che salgono dalle botteghe del Cinquecento e del Seicento e potremmo anche immaginare i viandanti camminare lungo la strada, ascoltare i pittori che tornano alle loro abitazioni uscendo dalle chiese o dai palazzi dove hanno lavorato o ancora dalle hosterie lì intorno! Bramante e Raffaello, poi Caravaggio che lavoravano alla chiesa di Santa Maria del Popolo e tutti gli artisti che lavoravano alle chiese gemelle della piazza. Ci troviamo in una Roma, tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600, che è crogiolo dei popoli, dei traffici, delle aspirazioni artistiche. Roma è il desiderio di tutti, artisti, principi, letterati. E qui continuano ad affluire artisti da ogni parte d’Italia e d’Europa. La città, nel Seicento, era il centro culturale più vivo e all’avanguardia d’Europa e attirava artisti da tutti i paesi. Italiani, francesi, olandesi, fiamminghi, spagnoli, tedeschi che vissero e fecero carriera nella capitale delle arti. A contatto con questa “splendida e misera città”, sovvertirono i codici espressivi e i canoni di bellezza, confrontandosi con l’universo dei bassifondi, la vita notturna e i suoi pericoli, il Carnevale e le sue licenze. Alcuni nomi di artisti della prima metà del XVII secolo? Eccoli! Claude Lorrain, Valentin de Boulogne, Jan Miel, Sébastien Bourdon, Leonaert Bramer, Bartolomeo Manfredi, Jusepe de Ribera, Pieter van Laer. Lavorano, mangiano e dormono nel Tridente, i loro committenti stanno quasi tutti lì! Iniziano il Grand Tour. Quello che diventerà moda nel Settecento adesso è necessità. Gli artisti, quelli poveri e quelli più agiati vengono a studiare, a disegnare le antichità, a cimentarsi con le incisioni che renderanno eterne e universali le loro invenzioni prodotte in serie nelle infinità di botteghe di editori-calcografi. Giovanni Maggi romano, uno di loro, era incisore e disegnatore e aveva bottega vicino al Collegio dei Greci, tra il Babuino e il Corso. Lo potevi incontrare mentre spettegolava o di notte mentre tirava sassi ai passanti con l'amico Caravaggio. E forse non è semplice casualità che la statua del Babuino fosse proprio nella stessa strada dove il Maggi non si tratteneva dal dire peste e corna di qualcuno con i suoi scritti diffamanti e le sue parole pungenti. Erano gli anni in cui il Merisi dipingeva a Santa Maria del Popolo, nella Cappella Cerasi. Lo si poteva incontrare mentre, spostandosi tra San Luigi dei Francesi e il Popolo, portando i suoi passi tra via Ripetta, via Dei Greci e via del Babuino, passava dall'amico incisore. Dopo alcuni anni , nei dintorni della sua bottega, sempre al Babuino potevi intrattenerti con Stefano della Bella che, nel 1633, disegnava il fastoso corteo dell'Ambasciatore di Polonia che entrava da piazza del Popolo. Il Principe Jerzy Ossolinski, ambasciatore di Ladislao IV, voleva entrare a Roma, abbagliando il popolo e il Papa, con 300 cavalieri fantasticamente vestiti. Intorno la folla dei curiosi, e Stefanino tra loro, rimase sbigottito dall’apparizione. Alla fine del corteo, degno di un marajà, era l’Eccellentissimo Ambasciatore, vestito di un abito d’oro cangiante, bordato da ricche pellicce e decorato da pietre preziose, su un elegante cavallo bardato d’oro e pietre preziose, in compagnia dell’Arcivescovo d’Amasia, del patriarca Gaetano e da alti prelati della Corte, seguito da un gran numero di staffieri polacchi e dalla Guardia Svizzera del Papa. La sua carrozza, in velluto verde, tirata da sei cavalli, era in fondo al corteo, con altre carrozze. A Roma, l'incisore fiorentino, guardava tutto e annotava, dall’Apollo e Dafne del Bernini all’ambiente popolare e spontaneo caro ai bamboccianti, che in quegli anni erano proprio lì tra via del Babuino e via Margutta (quest'ultima strada di servizio dei palazzi del Babuino). Pieter van Laer, detto il Bamboccio, fu l'iniziatore di un genere pittorico, le bambocciate appunto, che rappresentava la gente della strada, i viandanti o gli artigiani, i popolani intenti nelle loro attività quotidiane. Venuto a Roma nel 1625 fu a capo di quella banda pittoresca, chiassosa, intemperante di "bohémiens" che in quella zona, tra le più povere della città, prese dimora e le conferì quel ruolo di spazio degli artisti che tuttora resiste.

Il loro dichiarato nemico era Salvator Rosa, gran pittore, poeta, guitto, avido di soldi e di onori, che aveva casa al Babuino, all'angolo con via Margutta, amico di Nicolas Poussin, pittore di via Paolina (sempre Babuino), ed era feroce nemico anche di Gian Lorenzo Bernini. Lo scultore scriveva commedie pungenti e mordaci e il pittore criticava pubblicamente il fare tali commedie nella stagione calda per sollevarsi dalla noia. Erano tutti amici o nemici i pittori che vivevano o lavoravano in questa strada e nelle zone limitrofe. Insomma nel tridente, tra i palazzi nobili, le chiese, le botteghe, gli studi e gli horti si poteva incontrare tutto il mondo, briganti e cavalieri, pittori e ragazzi di bottega, grandi scultori e giovani scalpellini. Giuseppe Valadier che abitò nel palazzo omonimo, e Liszt, Madame Recamier, Chateaubriand, Goethe, Besnard, Wagner, Trilussa, Petrolini, Pascarella, d'Annunzio.

Nell'Ottocento, all'angolo con il vicolo Alibert, alloggiava la Principessa Carolina di Wittgenstein, amante di Liszt che fuggì in Vaticano, nonostante la recente vedovanza di Carolina, e nel 1865 prese i voti. In quegli stessi anni, se alzavi gli occhi potevi scorgere un uomo che scappava dagli sbirri papalini correndo sui tetti di via Margutta e via del Babuino, con un carico di fucili in spalla, fino ad arrivare a piazza del Popolo e porta Flaminia dove lo aspettava la carrozza di una bella Lady inglese per portarlo in salvo. Era Nino Costa, pittore e garibaldino, che nel 1870 combatté per la liberazione della città e partecipò all'entrata in Roma dei bersaglieri. Era un ribelle ed entrò in polemica con l'establishment contro il quale reagì organizzando e partecipando alla fondazione di numerosi gruppi artistici. Tra questi In Arte Libertas che raggruppava artisti di generi diversi che si riunivano nella Galleria d'arte e antiquariato Armando Perera in via del Babuino, proprio vicino all'odierno Baretto e lì ancora esistente negli anni Novanta del secolo scorso. Nel 1880 Erulo Eroli aprì il suo studio-laboratorio di pittura e arazzeria. Qui diventò subito famoso e lo studio fu presto meta di illustri visitatori, la Regina madre Margherita, Vittorio Emanuele III e la Regina Elena.

Poi il Novecento. Artisti, scrittori, attori, registi, musicisti e architetti. Le tappe degli intellettuali del Babuino erano, e sono state fino a poco più di vent'anni fa, sempre le stesse! Caffè Greco ai Condotti, Cesaretto o il Re degli Amici a via della Croce, poi cambio di strada e subito via del Babuino con Perera, il Baretto dove bevevi fianco a fianco con Giulio Turcato, Mimmo Rotella, Mino Maccari, Mario Mafai, Amerigo Tot, Giovanni Omiccioli, Claudio Abate, Edolo Masci, Luis Bacalov, Sergio Endrigo, Valentino Zeichen, Lucio Dalla, Orson Welles e Tyron Power o Charlton Heston, poi gallerie d'arte come la Russo o la Zanini o la "vetrina dei Chiurazzi", qui e lì incontravi e parlavi con Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Ottone Rosai o Giorgio Morandi e solo la sua "vetrina valeva la pena", e nel 1961 ci potevi vedere la mostra di Constant Permeke, poi sosta da Notegen. Caffè sempre particolarmente apprezzato dagli tutti gli artisti, i letterati, gli attori e i registi di via del Babuino, che voleva dire Tridente, cioè della capitale. Tra i nomi celebri che negli anni lo hanno frequentato, più o meno assiduamente, c'erano D’Annunzio, Sibilla Aleramo, Ennio Flaiano, Alberto Moravia, Fellini, Picasso De Chirico, Zavattini, Guttuso, Schifano, Pirandello, Giovanni Spadolini, Sylva Koscina, Giulietta Masina. Molti abitavano lì intorno o vi alloggiavano quando erano a Roma, nella zona di piazza di Spagna - Babuino di nuova espansione urbanistica. Qui alloggiò Goethe, qui alloggiarono i poeti romantici inglesi Byron, Shelley e Keats. Vedevi passeggiare Federico Fellini e il suo amico Giuseppe Zanini, il caricaturista più veloce del mondo e, poi, gallerista del Babuino. Lì vicino, al 39, Giangiacomo Feltrinelli aveva voluto una libreria. Era il 1964 e lo spazio sarebbe diventato un posto in continuo movimento, un work in progress, un palcoscenico teatrale dove si mescolavano il Gruppo 63, le cravatte di Carnaby Street e gli intellettuali della capitale, si giocava con un jukebox o con un flipper. Ci trovavi Marcello Mastroianni, Monica Vitti, Elsa Morante, poeti o scrittori come Nanni Balestrini e Elio Pagliarani o i pittori di via Margutta. Giocavano, compravano libri o li leggevano semplicemente, facevano performances e parlavano tra loro.

Alla fine del rettifilo arrivavi a piazza del Popolo, fino al bar Canova o da Rosati. Tra i Cinquanta e i Sessanta, quelli della Dolce Vita, se pendolavi in uno dei bar vedevi passare Brigitte Bardot o Marcello Mastroianni, Sofia Loren o Pier Paolo Pasolini, Alberto Arbasino, Goffredo Parise e un giovane Umberto Eco. Poi anche Elsa Morante, Leonida Repaci, Elemire Zolla che abitavano nella strada. E come se non bastasse la via degli artisti presentava alcuni dei grandi antiquari romani, Di Castro, Lampronti, Fallani, ma anche la Società degli Acquarellisti e le tantissime gallerie d'arte che con quelle di via Margutta contribuirono a creare la storia dell'arte romana e italiana dei giorni nostri. Lì, in quegli anni dorati per la cultura italiana vedevi passare, a gruppi o alla chetichella, giovani artisti squattrinati che abitavano in case studio del Babuino, all'ultimo piano senza ascensore, mansarde che non erano ancora diventate attici. La mattina, non troppo presto, uscivano dai portoni con un asciugamano sotto braccio e lo spazzolino da denti in tasca. Andavano al Bar Canova per lavarsi... e la notte la passavano da Notegen, a serrande chiuse, a bere, chiacchierare, scherzare, a vivere la loro vita scellerata. In estate s'addormentavano all'alba ai tavolini del bar Rosati e dalla piazza vedevano la città che si risvegliava! Una mattina, all'alba, ubriachi da una delle tante notti brave, dopo aver dormito da Canova, uno dei tanti si svegliò e vedendo passare uno vestito di bianco su una bicicletta anch'essa bianca che pedalava verso porta del Popolo, disse " ma chi è, oh ma è un fantasma!"... e al suo ritorno poco meno di un'ora dopo "ma è un cascherino!". Nemmeno un minuto e già tutti dormivano...